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Le "nazioni" non esistono. Oppressi e oppressori vivono il mondo.

2024-06-29 16:03

Il Bradipo

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Le "nazioni" non esistono. Oppressi e oppressori vivono il mondo.

Alessandro Manzoni scriveva, riferendosi all'Italia: «una d’arme, di lingua, d’altare. Di memorie, di sangue e di cor». A voi risulta che sia così?Chi

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Alessandro Manzoni scriveva, riferendosi all'Italia: «una d’arme, di lingua, d’altare. Di memorie, di sangue e di cor». A voi risulta che sia così?

Chi è andato alle scuole primarie tra gli anni '50 e '60 del Novecento è stato tradito, perché gli hanno raccontato fandonie. Ce ne siamo accorti dopo. Abbiamo capito che, per vergogna, hanno taciuto delle barbare repressioni che hanno subito le popolazioni del meridione d'Italia dal 1860 al 1864 e oltre. Hanno taciuto la verità sull'aggressione subita dal popolo del sud e sugli stermini che si sono perpetrati, aizzati, coperti e pretesi dal Re “galantuomo” savoiardo.

Se «identità» significa – etimologicamente – uguaglianza assoluta, corrispondenza esatta e perfetta, come da vocabolario, a noi risulta no: l'“identità italiana” non esiste. Eric Hobsbawm, considerato uno dei principali intellettuali del XX secolo, ne "L’invenzione della tradizione" (1983) sostiene che “le identità nazionali sono definite a posteriori, spesso inventate di sana pianta”.

Don Lorenzo Milani, infine, oppose le ragioni del Vangelo a quelle degli Stati-nazione: «se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che … io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi e privilegiati e oppressori. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri» (1965).

Il sangue, diceva Manzoni, ma nessun popolo europeo è meticcio quanto gli italiani, frutto di infinite fusioni che hanno lasciato traccia in ogni manifestazione culturale. La ricchezza culturale del nostro paese risiede nella mancanza d'identità nazionale; le nostre sono una sommatoria di identità territoriali, neanche regionali, e questa è la nostra ricchezza. Ma gli ignoranti negano e parlano a vanvera di Made in Italy. Non esiste il Made in Italy, è un'invenzione degli incolti.

Ogni tentativo di costruire, retrospettivamente, una purezza anche in ambiti più ristretti è destinato a scadere nel ridicolo. Nelle scorse settimane, il Consiglio regionale della Toscana ha, per esempio, indetto una Giornata degli Etruschi, tracciando una genealogia della «identità toscana» tutta appiattita sulla propaganda cinquecentesca di Cosimo de’ Medici, e affermando che la costituzione del Granducato di quest’ultimo «ha di fatto prefigurato l’attuale configurazione della Regione Toscana». Un marchiano errore, che dimentica, da un lato, l’esistenza di Stati autonomi toscani come il Principato di Piombino, lo Stato dei Presidi, il Ducato di Massa, la Repubblica di Lucca e, dall’altro, il fatto che gli Etruschi non vivevano affatto solo in Toscana, proprio come i Longobardi non solo in Lombardia” (Tomaso Montanari).

Idiozie amplificate dalla storiella sull'invenzione della lingua italiana. Poi c'è la cucina: Massimo Montanari ci dimostra che «non esiste una cucina italiana», esiste invece una straordinaria varietà locale, la stessa che rende diverse le tradizioni popolari e le stesse arti figurative. Piero Bevilacqua, storico, scrittore e saggista, in “Felicità d’Italia” (Laterza 2017), ricorda che «l’identità della cultura italiana fa tutt’uno con la sua multiforme varietà e, in un certo senso, con la sua stessa mancanza di una identità unitaria», ribadendo il concetto espresso in precedenza.

Sul piano politico l'espressione "Stato nazionale" indica uno Stato dominato da una nazione "centrale" e legittimato dall'ideologia del nazionalismo. Si può parlare di Stato-nazione solo quando un'unica etnia risiede entro i confini di uno Stato, quando nazione culturale e Stato territoriale sono coestensivi. Per molti teorici il nazionalismo è principalmente una dottrina che tende al conseguimento e alla conservazione del potere politico.

L'affinità culturale è relativa e in sé stessa non garantisce il successo politico. I nazionalisti devono passare da un nazionalismo puramente culturale a uno di tipo politico, in grado di mobilitare altri strati oltre agli intellettuali e ai professionisti. Questo processo di mobilitazione locale è spesso accompagnato da una parallela tendenza alla purificazione della cultura autoctona; tale purificazione può cominciare dai vocaboli e dalle usanze straniere che vengono ritenuti una corruzione, ma può finire per rivolgersi contro gli immigrati e le enclavi straniere. È noto il percorso del nazionalismo tedesco, partito dall'opposizione alla penetrazione della cultura francese per approdare allo sterminio degli Ebrei; meno nota è la storia del “nazionalismo piemontese” che si impossessa con la forza degli stati del sud Italia e poi, con una bestiale violenza, prova a “rieducare” quelle masse di popolazioni, ritenute “inferiori” e che mal sopportavano quelle imposizioni anche perché figli di una cultura millenaria ben più progredita di quella degli invasori. Sono arrivati, in tempi diversi, a perpetrare identici orrori. Questi atteggiamenti sono all'origine della devastante migrazione delle popolazioni del sud Italia, fenomeno sconosciuto, in quelle zone, fino alla unione forzata del 1860. Nessuno prima andava via da quelle terre fortunate ma da allora, quei popoli, si sparsero per il mondo (diaspora italiana mai riconosciuta dalla storia). I flussi di sventurati profughi - greci e turchi, indu e musulmani, gitani, palestinesi, curdi, tamil, sudanesi meridionali, serbi, croati, ecc. - sono testimoni del 'lato oscuro' del nazionalismo.

All'interno degli Stati nazionali, sia di tipo etnico che di tipo civico, rimane il problema di armonizzare etnie caratterizzate da standard di vita, attitudini, storie e culture differenti. Nell'Occidente ricco e democratico sono state tentate, con maggiore o minore successo, diverse forme di partecipazione al potere delle minoranze; qui, perlomeno, esistono i mezzi pacifici di arbitrato e di riconciliazione messi a disposizione dalle prassi e dalle tradizioni democratiche, anche se non sempre questi sono stati efficaci e i conflitti più aspri - ad esempio nei Paesi Baschi e nell'Irlanda del Nord - si sono dimostrati sinora refrattari a ogni soluzione. Non esiste una forma di compartecipazione in quegli stati che utilizzano il nazionalismo come mezzo per detenere il potere politico, bisogna additarla quale forma inumana e promuoverla sempre come deleteria e illegale. Come diceva Don Milani non esistono etnie predominanti, esistono solo categorie di persone: “diseredati e oppressi e privilegiati e oppressori. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri”. Noi stiamo con Don Milani.

(Fonti: articolo pubblicato, anche sul Fatto Quotidiano, del Prof. Tomaso Montanari - Enciclopedia Treccani - alla voce - Nazioni)